L’obesità è una condizione ampiamente prevenibile

L’obesità è una condizione caratterizzata da un eccessivo accumulo di grasso corporeo, il che determina gravi danni alla salute. E’ causata nella maggior parte dei casi da stili di vita scorretti: da una parte, un’alimentazione scorretta ipercalorica e dall’altra un ridotto dispendio energetico a causa di inattività fisica. L’obesità è quindi una condizione ampiamente prevenibile.

L’obesità rappresenta uno dei principali problemi di salute pubblica a livello mondiale sia perché la sua prevalenza è in costante e preoccupante aumento non solo nei Paesi occidentali ma anche in quelli a basso-medio reddito sia perché è un importante fattore di rischio per varie malattie croniche, quali diabete mellito di tipo 2, malattie cardiovascolari e tumori.

Si stima che il 44% dei casi di diabete tipo 2, il 23% dei casi di cardiopatia ischemica e fino al 41% di alcuni tumori sono attribuibili all’obesità/sovrappeso. In totale, sovrappeso e obesità rappresentano il quinto più importante fattore di rischio per mortalità globale e i decessi attribuibili all’obesità sono almeno 2,8 milioni/anno nel mondo.

L’indice di massa corporea IMC (body mass index BMI) è l’indice per definire le condizioni di sovrappeso-obesità più ampiamente utilizzato, anche se dà un’informazione incompleta (ad es. non dà informazioni sulla distribuzione del grasso nell’organismo e non distingue tra massa grassa e massa magra); l’IMC è il valore numerico che si ottiene dividendo il peso (espresso in Kg) per il quadrato dell’altezza (espressa in metri).

Le definizioni dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) sono:

  • sovrappeso = IMC da uguale o superiore a 25 fino a 29,99
  • obesità = IMC uguale o superiore a 30.

Secondo dati dell’OMS, la prevalenza dell’obesità a livello globale è raddoppiata dal 1980 ad oggi; nel 2008 si contavano oltre 1,4 miliardi di adulti in sovrappeso (il 35% della popolazione mondiale); di questi oltre 200 milioni di uomini e oltre 300 milioni di donne erano obesi (l’11% della popolazione mondiale). Nel frattempo, il problema ha ormai iniziato ad interessare anche le fasce più giovani della popolazione: si stima che nel 2011 ci fossero nel mondo oltre 40 milioni di bambini al di sotto dei 5 anni in sovrappeso.

In Italia, il sistema di monitoraggio del Centro nazionale di prevenzione e controllo delle malattie del Ministero della Salute (con raccolta dati antropometrici e sugli stili di vita, dei bambini delle terza classe primaria 8-9 anni di età ) ha riportato che il 22,9% dei bambini in questa fascia di età è in sovrappeso e l’11,1% in condizioni di obesità (dati relativi all’anno 2010).

Il progetto Hbsc-Italia (Health Behaviour in School-aged Children-Comportamenti collegati alla salute in ragazzi di età scolare), uno studio multicentrico internazionale a cui aderisce anche l’Italia, con l’obiettivo di approfondire le conoscenze sulla salute dei ragazzi di 11, 13 e 15 anni, nel 2010 ha evidenziato che la frequenza dei ragazzi in sovrappeso e obesi è più elevata negli 11enni (29,3% nei maschi e 19,5% nelle femmine), che nei 15enni (25,6% nei maschi e 12,3% nelle femmine). Questo dato è particolarmente preoccupante, in quanto indica che il fenomeno obesità è in espansione e colpisce più frequentemente le generazioni più giovani.

Secondo i dati raccolti nel 2010 dal sistema di sorveglianza Passi, in Italia il 32% degli adulti è sovrappeso, mentre l’11% è obeso. In totale, oltre quattro adulti su dieci (42%) sono cioè in eccesso ponderale in Italia.

“Passi d’argento”, il sistema sperimentale (avviato in 7 Regioni italiane) di sorveglianza della salute della popolazione anziana, infine indica che nella popolazione tra i 65 e i 75 anni di età sono in sovrappeso/obesi il 60% degli individui; tra i 75 e gli 84 anni le persone in sovrappeso/obesità sono il 53% e tra gli ultra 85enni il 42%.

Dieta e attività fisica: effetti sul profilo cardiovascolare nelle donne.

La combinazione di un programma di dieta mediterranea e attività fisica mirati consente di ottenere, nell’arco di sei mesi, calo ponderale, rimodellamento della composizione corporea e riduzione degli indici di rischio cardiovascolare in donne sovrappeso/obese. La ricerca è stata condotta dal dipartimento di Biomedicina e prevenzione dell’Università di Roma Tor Vergata, e pubblicata di recente su Nutrients.

Lo studio intendeva valutare gli effetti della Dieta mediterranea italiana di riferimento nella prevenzione e nella terapia delle patologie cronico-degenerative. Sono stati condotti molti studi clinici su popolazioni diverse che confermano come la Dieta mediterranea si associ a ridotta incidenza, prevalenza e mortalità per cardiopatia coronarica, oltre che di altre malattie cardiovascolari e a una ridotta mortalità per tutte le cause. Sappiamo che seguire le indicazioni della Dieta Mediterranea, insieme allo stile di vita attivo, determina la riduzione in 25 anni del 18% del rischio di morte per patologie cardiovascolari.  Purtroppo, le giovani generazioni stanno abbandonando gradualmente la Dieta Mediterranea a favore di nuove tendenze alimentari caratterizzate da cibi a elevato contenuto di grassi o ultraprocessati.

Per la prima volta è stato condotto uno studio clinico per valutare gli effetti del trattamento combinato dieta- attività sia sulla composizione corporea, definita nei suoi quattro compartimenti rappresentati dal tessuto adiposo, muscolare, osseo e dalla quantità di acqua totale, intracellulare e extracellulare, sia su diversi parametri metabolici legati a stato nutrizionale-infiammazione, funzione immunitaria, profilo lipidico e glucidico.

Dal pool di pazienti studiati sono state selezionate 52 donne che rientravano nei criteri di analisi. Le stesse sono state seguite per i sei mesi successivi al primo accesso in ambulatorio. A tutte le pazienti arruolate è stata effettuata una valutazione dello stato nutrizionale preliminare tramite visita medica, misurazioni antropometriche, esami laboratoristici e determinazione della composizione corporea tramite bioimpedenziometria.

Per ciascuna paziente è stato elaborato un piano alimentare personalizzato e prescritta attività fisica programmata. Successivamente, sono stati programmati controlli mensili ambulatoriali con ripetizione delle misure antropometriche, dell’esame bioimpedenziometrico e valutazione dell’aderenza al regime alimentare e all’attività fisica

Ves e Pcr sono stati utili per la determinazione dello stato infiammatorio; la conta piastrinica e linfocitaria per la misurazione degli indici infiammatori Nrl e Plr. Il profilo lipidemico è stato utilizzato per la valutazione della dislipidemia e degli indici di rischio cardiovascolari. Inoltre, la trigliceridemia, insieme alla circonferenza vita è stata utilizzata per misurare l’indice adipocitario Lap. Il profilo glicemico è stato impiegato per la valutazione di resistenza e sensibilità all’insulina, transaminasi, Gamma GT e albumina per la misurazione degli indici di epatosteatosi e fibrosi epatica e, infine, il dosaggio dell’acido urico e della vitamina D per l’identificazione di uno stato di iperuricemia e/o ipovitaminosi D. 

Alle donne in studio è stata prescritta una dietoterapia personalizzata, isocalorica se normopeso o ipocalorica se sovrappeso/obese. La ripartizione dei macronutrienti è stata: carboidrati 45-50% Kcal/die; protidi 20-25% si basava su 3 pasti principali al giorno e 2 spuntini. A tutte le partecipanti è stata prescritta una attività fisica programmata pari a 150 minuti a settimana, aerobica a intensità moderata, e/o 90 minuti a settimana di attività ad alta intensità.  Si è raccomandato di praticare l’attività fisica almeno tre giorni alla settimana, secondo linee guida della Società italiana di diabetologia.

Al momento dell’arruolamento, il 94% delle pazienti era obeso con diverse comorbidità, quali prediabete, sindrome metabolica, dislipidemia ed ipertensione. La compliance alla terapia è stata molto alta: tutte le pazienti in studio hanno seguito alla perfezione le indicazioni ricevute. Dopo 6 mesi, si è osservato un miglioramento della composizione corporea e dei parametri ematochimici in esame.  Si è rilevata una riduzione della massa adiposa totale con un mantenimento della massa minerale ossea e muscolare. Si è osservata una riduzione dei kg di massa grassa corporea e della percentuale di massa grassa, in presenza di una riduzione dell’acqua extracellulare. Al T0 la maggior parte della popolazione in studio ha mostrato indici di rischio alterati, specialmente quelli associati con lipoproteine plasmatiche. Dopo sei mesi di terapia, la maggior parte di questi marker si è normalizzata. Si è osservata una riduzione significativa delle lipoproteine plasmatiche, dei trigliceridi e del colesterolo totale, soprattutto tra chi aveva ottenuto una riduzione della massa grassa di almeno il 15%. Per quanto concerne il rischio per patologie cardiache e infiammatorie, si sono osservati miglioramenti di tutti gli indici esaminati.

La dieta mediterranea si è rilevata ancora una volta un ottimo protocollo alimentare di prevenzione e predizione del rischio delle patologie croniche. Gli indici descritti possono essere utilizzati a completamento della valutazione dello stato nutrizionale per indentificare soggetti ad alto rischio per malattie cronico degenerative e intraprendere ulteriori indagini per la determinazione del rischio o di patologia cronica già in atto. La perdita di almeno il 10% del peso e di almeno il 15% di grasso rispetto alla condizione di partenza si sono dimostrati fattori predittivi della riduzione degli indici di rischio e in alcuni casi la perdita della massa grassa è risultata maggiormente determinante, soprattutto sugli indici di rischio cardiovascolari e di steatosi epatica. Infine, l’attività fisica svolta con costanza ha un ruolo nel mantenimento e nel potenziamento della massa muscolare, il motore del nostro organismo e dovrebbe essere svolta almeno tre volte a settimana.

Gli obesi vivono fino a 6 anni meno di normopesi

Non avere troppi chili di troppo allunga la vita: e precisamente fino a sei in più per gli uomini e fino a tre anni e mezzo in più per le donne. Un nuovo studio pubblicato su Jama Cardiology contraddice il cosiddetto ‘paradosso dell’obesità’, secondo il quale le persone a cui è stata diagnosticata una malattia cardiovascolare vivono più a lungo, se obese, rispetto a persone che hanno un peso normale.  

Mostra infatti che le persone in sovrappeso, e ancor di più quelle obese, hanno un rischio maggiore di morte e trascorrono più anni a combattere con infarti e ictus.    Per far chiarezza in tal senso, i ricercatori della Northwestern University, nell’Illinois hanno esaminato i dati di 190.672 persone in 10 grandi gruppi con un totale di 3,2 milioni di anni di follow-up. Tutti i partecipanti erano liberi da malattie cardiovascolari all’inizio dello studio.    Rispetto agli uomini con peso normale, la probabilità di avere ictus, infarto, insufficienza cardiaca negli uomini di mezza età (40-59 anni) in sovrappeso era del 21% superiore e arrivava ad essere maggiore del 67% se erano obesi. Rispetto alle donne con peso normale, le probabilità di avere le stesse malattie erano superiori del 32% nelle donne in sovrappeso e più alte dell’85% in quelle obese.

Gli uomini di mezza età di peso normale hanno vissuto 1,9 anni in più rispetto a quelli obesi e 6 anni in più rispetto agli obesi più gravi. Le donne di mezza età di peso normale hanno vissuto 1,4 anni in più rispetto alle donne in sovrappeso, 3,4 anni in più rispetto alle donne obese. Il cosiddetto paradosso dell’obesità, ha causato molta confusione e potenziali danni perché sappiamo che ci sono rischi cardiovascolari e non cardiovascolari associati all’obesità. E’ vero piuttosto, secondo i ricercatori, che in chi ha molto chili di troppo è più facile che le malattie cardiovascolari vengano diagnosticate prima e si inizino prima le terapie.

Tosse cronica da reflusso.

Il tempo di svuotamento del contenuto gastrico, l’entità e l’estensione verso la gola del reflusso sono fattori importanti nel determinare la comparsa di tosse. Anche la presenza di un volume grande di materiale refluito per un periodo di tempo prolungato ha un effetto nel provocare la tosse.L’acido sembra invece avere un ruolo meno importante.I meccanismi fisiopatologici che più probabilmente entrano in gioco sono la sensibilizzazione generale e il riflesso esofago-bronchiale, e non la microaspirazione di acido, come si pensava in passato. Un trattamento che diminuisce la quantità di materiale che refluisce è probabilmente più efficace di una riduzione dell’acidità per fermare la tosse.

Artrosi del ginocchio: l’ esercizio anca migliora la funzione e i sintomi.

I pazienti con artrosi del ginocchio si avvantaggiano dell’aggiunta di esercizi di rafforzamento dell’anca per migliorare la capacità di deambulazione e ridurre il dolore. Stando ad una revisione della letteratura che ha preso complessivamente in esame 340 individui artrosici, gli esercizi più utili sono quelli che utilizzano l’uso di pesi e bande elastiche. L’esercizio è comunque in generale utile per questi pazienti, come affermato dall’autore, A. Bishop dell’Università del Queensland. L’artrosi del ginocchio colpisce un soggetto su 4 oltre i 55 anni, ma spesso questi pazienti non vengono indirizzati alle attività fisiche necessarie, al contrario di quanto raccomandano le linee guida internazionali per la gestione conservativa dell’articolazione. Il rafforzamento dei muscoli dell’anca, ed in particolare degli adduttori, migliora l’assetto del bacino ed il controllo dell’area dorsale e lombare, alleggerendo il carico per il ginocchio.

I  programmi d’esercizio efficaci sono quelli che vengono realmente seguiti dal paziente, e quindi andrebbe incoraggiata qualsiasi attività che il paziente trovi divertente e comunque non disturbi le altre attività; va praticata sotto la consulenza di tecnici specialisti del settore sportivo, per evitare incidenti o danni alle articolazioni già problematiche.

Fonte: Br J Sports Med online 2019

Da corsa a camminata, sport aerobico allena anche la mente

Studio Usa, gli effetti positivi aumentano con l’età

Dalla corsa, alla camminata alla bicicletta, l’attività fisica aerobica fa bene non solo al fisico, ma migliora le capacità mentali anche dei ventenni. E gli effetti positivi aumentano con l’età, per cui più si sale con gli anni più la mente trae beneficio da questo tipo odi attività. Lo rivela una ricerca condotta presso la Columbia University Vagelos College of Physicians and Surgeons, che ha coinvolto 132 adulti tra i 20 ed i 67 anni. Ad aumentare sono l’abilità nel ragionamento, nella pianificazione, nella risoluzione dei problemi.  Finora gli effetti della pratica sportiva sulla mente erano stati indagati soprattutto sugli anziani. In questo lavoro il campione è stato suddiviso in gruppi: uno doveva svolgere esercizio aerobico, l’altro (gruppo di controllo) doveva praticare stretching e i classici esercizi di ginnastica che servono a migliorare la stabilità della parte centrale del corpo (dagli addominali alle flessioni). Gli allenamenti richiesti erano tre a settimana ad un’intensità calibrata sul singolo individuo.

A 12 e 24 settimane di allenamento tutti i partecipanti sono stati valutati sul piano cognitivo con dei test ed è emerso che l’esercizio aerobico si associa ad un miglioramento delle funzioni esecutive, come ragionamento e pianificazione.  L’aumento di tali capacità, appunto, è tanto più significativo quanto maggiore è l’età dell’individuo. “Le funzioni esecutive di solito raggiungono un picco a 30 anni – spiega l’autore del lavoro, Yaakov Stern – ritengo che l’esercizio aerobico favorisca il recupero di funzioni mentali via via ridotte con l’età, piuttosto che essere in grado di migliorare le performance di individui giovani ancora lontani dal declino mentale”. Ad ogni modo, conclude Stern, alla fine delle 24 settimane tutti coloro che hanno svolto il training aerobico – indipendentemente dall’età – presentavano anche un aumento dello spessore della corteccia cerebrale nel lobo frontale, sede delle funzioni esecutive.

Dieci farmaci al giorno per 1,5 milioni di anziani: il 70% non segue la terapia.

Il 50% degli anziani nel nostro Paese, pari a quasi sette milioni di ‘over 65’ (6 milioni e 800 mila), soffre di almeno una malattia cronica. Cardiopatie, diabete, asma, depressione, osteoporosi, artrosi, artrite reumatoide e glaucoma sono alcune delle patologie con cui devono convivere a lungo, fortunatamente nella maggioranza dei casi vi sono terapie che garantiscono una buona qualità di vita. Ma in troppi non seguono i trattamenti o li abbandonano dopo poco. Si stima che solo la metà dei pazienti assuma i farmaci in modo corretto (Organizzazione mondiale della sanità). Fra gli anziani, i ‘non aderenti’ superano il 70%. Del resto, basta pensare che l’ 11% degli ‘over 65′ (circa 1,5 mln in Italia) deve assumere ogni giorno 10 o più farmaci.

In particolare, snocciolando i dati, in Italia, solo il 57,7% dei pazienti aderisce ai trattamenti antipertensivi, il 63,4% alle terapie ipoglicemizzanti per la cura del diabete, il 40,3% alle cure antidepressive, il 13,4% ai trattamenti con i farmaci per le sindromi ostruttive delle vie respiratorie e il 52,1% alle cure contro l’ osteoporosi. Percentuali che non hanno subito variazioni di rilievo nel corso degli anni, con notevoli costi clinici e sociali. Negli Stati Uniti la mancata aderenza causa sprechi per circa 100 miliardi di dollari ogni anno, in Europa si stimano 194.500 decessi e 125 miliardi di euro l’ anno per i costi dei ricoveri dovuti a questo problema. “La perdita economica cumulativa dovuta alle malattie croniche ammonterà a oltre 47 trilioni di dollari nel prossimo ventennio – spiega Ranieri Guerra, Assistant Director General per le iniziative speciali dell’ Organizzazione mondiale della sanità – Questa cifra rappresenta il 75% del prodotto lordo globale del 2010. A ciò contribuiscono anche le patologie mentali, che da sole valgono 16,1 trilioni, e il 63% di tutte le morti a livello globale è legato alle malattie croniche, soprattutto cardiovascolari, oncologiche, respiratorie e al diabete”.

Prevenzione resta la parola d’ ordine: “Ogni dollaro investito in azioni preventive primarie – continua – garantisce un ritorno di 7 dollari risparmiati in patologie evitabili, è anche vero che la terapia clinica rallenta il progresso delle malattie croniche e salva vite, prolungando l’ aspettativa di vita e migliorandone la qualità”. “La gestione della cronicità in Italia assorbe il 70% della spesa pubblica sociosanitaria – dice Filippo Anelli, presidente della Fnomceo – Va rilevato che, nonostante le aperture del ministero e dell’ Aifa, la prescrizione di alcuni farmaci (antidiabetici orali, anticoagulanti, farmaci contro la Bpco) con una maggiore aderenza, è ancora preclusa ai medici di famiglia, con grave disagio per i pazienti.

La sedentarietà è responsabile del 14,6% di tutte le morti in Italia

Ben pochi in Italia raggiungono il livello minimo consigliato per l’attività fisica e ormai tra i bambini  solo uno su quattro dedica almeno un’ora a settimana a giochi in movimento, dati dell’Istituto Superiore di Sanità, del Ministero della Salute e del Comitato Olimpico Nazionale Italiano.

Non è soltanto un’attività sportiva di tipo organizzato o agonistico a far mantenere  in buona salute, ma tutte le occasioni in cui si può combattere la sedentarietà (come ad esempio camminare, andare in bicicletta, fare giardinaggio, portare il cane a passeggio, ecc).

Dai dati emerge che la sedentarietà è responsabile del 14,6% di tutte le morti in Italia, pari a circa 88.200 casi all’anno, e di una spesa in termini di costi diretti sanitari di 1,6 miliardi di euro annui per le quattro patologie maggiormente imputabili alla sedentarietà (tumore della mammella e del colon-retto, diabete di tipo 2, malattia coronarica). Un aumento dei livelli di attività fisica e l’adozione di stili di vita salutari determinerebbero un risparmio per il Servizio Sanitario Nazionale pari a oltre 2 miliardi e 300 mila euro in termini di prestazioni specialistiche e diagnostiche ambulatoriali, trattamenti ospedalieri e terapie farmacologiche evitate.

Anche i dati dell’OMS riportano la stessa stima, calcolata nel mondo: un adulto su quattro non è sufficientemente attivo e l’80% degli adolescenti non raggiunge i livelli raccomandati di attività fisica, in particolare, in Europa oltre un terzo della popolazione adulta e due terzi degli adolescenti non sembrano svolgere abbastanza attività fisica.
In Italia i dati riferiscono che solo il 50% degli adulti raggiunge i livelli raccomandati di attività fisica, che un bambino su quattro dedica al massimo un giorno a settimana (almeno un’ora) allo svolgimento di giochi di movimento, che tra gli adolescenti meno del 10% raggiunge le raccomandazioni dell’OMS, che i maschi sono più attivi delle femmine (anche se usano maggiormente i computer) e che fra gli ultra 64enni il livello di attività fisica svolto dagli anziani diminuisce all’avanzare dell’età ed è significativamente più basso tra le donne, tra le persone con svantaggio socio-economico e tra i residenti nel meridione.

Le motivazioni dei pazienti che si sottopongono a procedure di medicina estetica.

I pazienti che si sottopongono a procedure estetiche minimamente invasive lo fanno, oltre che per motivazioni legate al miglioramento dell’aspetto estetico, per ragioni legate alla salute fisica e al benessere psicosociale.

Più di due pazienti su tre lo fanno per aumentare la propria autostima o migliorare la propria qualità di vita.

I pazienti che decidono di sottoporsi a trattamenti estetici su propria iniziativa sono quasi il triplo di quelli che lo fanno perché consigliati da parenti o amici più o meno coetanei e quasi 20 volte di più di quelli che lo fanno su consiglio del/della partner.

Descrizione dello studio

  • Uno studio prospettico osservazionale multicentrico è stato condotto presso 2 università e 11 centri privati di dermatologia degli Stati Uniti.
  • Sono stati arruolati 511 pazienti che si sono presentati per un consulto dermatologico.
  • I pazienti hanno compilato una scheda demografica e hanno risposto a un sondaggio riguardo alle motivazioni che li spingevano a sottoporsi a procedure di medicina estetica.
  • Fonte di finanziamento: American Society for Dermatologic Surgery.

Risultati principali

  • L’86% dei partecipanti era di sesso femminile, il 56% aveva più di 45 anni e il 92% aveva un’istruzione superiore, il 53% si era già sottoposto ad almeno 2 procedure cosmetiche.
  • La maggior parte dei pazienti desiderava avere un aspetto giovanile e attraente (83%).
  • Il 33% dei pazienti voleva apparire bello in fotografia.
  • Il 53% dei pazienti desiderava prevenire il peggioramento di una condizione o di alcuni sintomi.
  • Il 67% ambiva a sentirsi più felice e sicuro e a migliorare la qualità di vita nel suo complesso.
  • Il 61% voleva gratificarsi o festeggiare qualcosa.
  • Il 55% desiderava apparire bello per motivi professionali.
  • La maggior parte delle motivazioni partiva da un bisogno interiore del paziente, non dipendeva da altri.
  • I pazienti con meno di 45 anni si sottoponevano più frequentemente a procedure anti-invecchiamento rispetto a quelli più anziani (26% contro 15%; P<0,001).
  • Motivazioni psicologiche o emotive erano più frequenti tra coloro che si sottoponevano a rimodellamento del corpo, o body contouring, (86%), rimozione delle cicatrici dell’acne (86%), rimozione di tatuaggi (73%).

Perché è importante

  • La popolarità delle procedure estetiche minimamente invasive (es. fili di trazione, iniezioni per il ringiovanimento del viso, peeling, fillers) è aumentata enormemente.
  • Comprendere le motivazioni che spingono verso le procedure estetiche può aiutare a identificare chi ne trarrà maggior beneficio e a dare consigli riguardo alle aspettative.

Bibliografia e riferimenti

Maisel A, Waldman A, et al. Self-reported patient motivations for seeking cosmetic procedures. JAMA Dermatology 2018;154(10):1167-1174.  doi:10.1001/jamadermatol.2018.2357

 

Obesità

Secondo il rapporto nazionale del 2016, emerge che, in Italia, nel 2015, più di un terzo della popolazione adulta (35,3%) era in sovrappeso, mentre una persona su dieci era obesa (9,8%); complessivamente, il 45,1% dei soggetti di età ≥18 anni era in sovrappeso. Le differenze sul territorio mostrano una differenza tra Nord e Sud: le Regioni meridionali presentano la prevalenza più alta di persone maggiorenni obese e in sovrappeso rispetto a quelle settentrionali. 

La percentuale di popolazione in sovrappeso cresce all’aumentare dell’età e, in particolare, il sovrappeso passa dal 14% della fascia di età 18-24 anni al 46% tra i 65-74 anni, mentre l’obesità passa, dal 2,3% al 15,3% per le stesse fasce di età. Inoltre, la condizione di sovrappeso è più diffusa tra gli uomini rispetto alle donne (sovrappeso: 44% vs 27,3%; obesità: 10,8% vs 9%). 

Nonostante il grado di malnutrizione esistente sul pianeta, l’obesità rappresenta uno dei principali problemi di salute pubblica nel mondo; si sta diffondendo in molti Paesi e può causare, in assenza di un’azione immediata, problemi sanitari molto gravi nei prossimi anni.

 L’eccesso ponderale è una condizione caratterizzata da un eccessivo accumulo di grasso corporeo, in genere a causa di un’alimentazione scorretta e di una vita sedentaria.  Alimentazione e attività fisica sono comportamenti fortemente influenzati dalle condizioni sociali, economiche e culturali. Sfatando un luogo comune abbastanza diffuso, l’obesità non è un “problema dei ricchi”. O almeno, non solo: le fasce di popolazione più svantaggiate dal punto di vista socioeconomico tendono infatti a consumare più carne, grassi e carboidrati, piuttosto che frutta e verdura, e a curare meno la propria immagine e il benessere fisico.

 A livello psicologico, l’obesità può stravolgere completamente la vita di una persona: chi è obeso spesso viene isolato e sottoposto a una vera e propria stigmatizzazione sociale, che rende difficile qualunque tipo di socialità. In particolare, i bambini in sovrappeso tendono a sviluppare un rapporto difficile con il proprio corpo e con i propri coetanei, con conseguente isolamento, che spesso si traduce in ulteriori abitudini sedentarie.

 Obesità e sovrappeso sono condizioni associate a morte prematura e sono fattori di rischio per le più diffuse malattie croniche.

 Un problema particolarmente grave è quello dell’insorgenza dell’obesità tra bambini e adolescenti, esposti fin dall’età infantile a difficoltà respiratorie, problemi articolari, mobilità ridotta, ma anche disturbi dell’apparato digerente e di carattere psicologico.

 Inoltre, chi è obeso in età infantile lo è spesso anche da adulto: aumenta quindi il rischio di sviluppare precocemente fattori di rischio di natura cardiovascolare (ipertensione, malattie coronariche, tendenza all’infarto) e condizioni di alterato metabolismo, come il diabete di tipo 2 o l’ipercolesterolemia.

 L’obesità è definita come un eccessivo accumulo di grasso corporeo in relazione alla massa magra, in termini sia di quantità assoluta, sia di distribuzione in punti precisi del corpo. La misurazione della distribuzione del grasso corporeo può essere effettuata con diversi metodi, dalla misura delle pliche della pelle, al rapporto tra la circonferenza della vita e dei fianchi, o con tecniche ad ultrasuoni, la Tac o la risonanza magnetica.

 La classificazione della popolazione in base al peso viene fatta utilizzando l’indice di massa corporea (Bmi = body mass index, secondo la definizione americana), considerato il parametro più rappresentativo della presenza di grasso corporeo in eccesso. Il Bmi si calcola secondo la formula:

Bmi = peso (in kg)/quadrato dell’altezza (in metri)

Le classi di peso per gli adulti classificate dal Bmi sono:

<18,5 sottopeso

18,5 – 24,9 normopeso

25 – 29,9 sovrappeso

>30 obesità

 Esistono naturalmente delle differenze legate al sesso: a parità di Bmi: le donne tendono ad avere più grasso corporeo rispetto agli uomini, così come gli anziani rispetto ai giovani. Inoltre, chi ha un fisico sportivo potrà pesare di più proprio grazie alla massa muscolare molto sviluppata, ma non rientrare per questo nella categoria sovrappeso o obesità, e per questo motivo il BMI è inaffidabile nei culturisti.

 Nel caso dell’obesità, quando non dipende da una specifica patologia, il trattamento principale è la prevenzione: modificando lo stile di vita, grazie cioè a un’alimentazione corretta e a un’attività fisica adeguata, si può controllare il proprio peso ed evitare che superi i livelli a rischio.